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“No al bavaglio”: se è già difficile dirlo…

No al bavaglio1 è lo slogan che in questi giorni e in queste ore sento e leggo più spesso… e non senza fastidio, purtroppo. Immagino succeda anche a voi.

È gravissimo che io stesso senta fastidio per quello che sto per scrivere: significa che siamo tutti fottuti, perché mi ritengo un essere pensante e so che le idee che supporto mi dovrebbero far stare meglio e più in pace con me stesso. Invece mi sento di fare uno sforzo enorme ad affrontare la questione. Di più: mi sembra di percepire anche il vostro fastidio. Deve avere qualcosa a che fare con il fatto che siamo noi tutti già vittime di questo bavaglio, in senso esteso. Queste parole2 di Silvia Resta (La7) a Maria Luisa Busi (ex TG1), sui bavagli imposti ai telegiornali, esprimono quel che intendo. Atrocemente:

“[…] Non si racconta più il paese vero, quello della crisi che morde, quello dei pendolari che perdono ore sui treni ammassati come acciughe, quello delle scuole a pezzi, quello che frana. Non si raccontano le truffe e gli abusivismi, non si raccontano le facce della corruzione, la mafia, le mafie; le grandi inchieste sul Palazzo che in un paese “normale” avrebbero tenuto occupati per mesi cronisti e reporter […]”

Forse so dare un nome a quel fastidio: è la nostra impotenza3.

Note all'articolo

  1. Visitate anche la pagina di No al bavaglio, su Facebook []
  2. Leggete tutta la lettera, perché è piena di “sorellanza”: mi piace che sia uno scambio tra donne. []
  3. Sdrammatizziamo: da buon siciliano tengo a precisare che ciò non ha nulla a che vedere con la mia vita sessuale ;) []
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