Categoria: Vita Reale
Catania è la città piena di orgoglio e vita in cui ho trascorso anni splendidi e indimenticabili. Anni in cui, nella cornice della sua mollezza dinamica, mi ha iniziato al segreto di essere l’uomo che sono. Come la mia prima amante mi accompagnerà per tutta la vita: sotto la pelle.
Io e Catania ci siamo allontanati nel momento del suo massimo (illusorio) splendore: quello di Etna Valley, di Enzo Bianco, della capitale del rock italiano, del revival della “raggiante Catania”. Ho vagabondato un po’ ma lei è sempre rimasta languidamente distesa nel cuore, anche adesso che la vivo da una distanza piccola ma difficilmente colmabile e che mi viene raccontata in termini sempre più impietosi. Dopo bancarotte, umiliazioni, sogni infranti, fatico a credere che i catanesi lascino che la loro splendida, sensuale ed enigmatica amante sia così fiaccata in una bancarotta morale, prima ancora che finanziaria.
Catania cosa ti succede? Forse abbiamo solo sognato, per poi dirci che “la vida es sueño“, con una citazione che sarebbe dotta in qualsiasi luogo del mondo, ma che oggi qui è l’amara verità di un incubo ad occhi aperti.
Oggi (ieri) sono state ufficialmente annunciate le componenti che faranno parte di GNOME 3.0, il desktop ufficiale di Linux (amici di KDE non odiatemi!).
Non parliamo ovviamente di sentenze definitive ma questo annuncio significa che finalmente abbiamo qualcosa di più certo di cui parlare quando ci riferiamo a GNOME 3: possiamo già intravvedere come funzionerà e indovinarne gli elementi fondanti. Tra i moduli che definiranno questa importante versione/traguardo di GNOME, e dunque per la proprietà transitiva anche tutte le principali distribuzioni Linux esistenti, ci sono alcune conferme e anche un paio di sorprese, che poi tanto sorprese non sono per chi ne segue un po’ le vicende.
Ecco la lista e qualche mia considerazione, dentro e fuori luogo.
Ci sono certe occasioni in cui fatico anche io a capacitarmi del fatto che vengo pagato per quello che faccio.
lei: posso togliermi le scarpe?
io: ma certo, mettiti comoda
lei: thanks!
io: you’re very welcome… cos’è nero?
lei: rosso sangue. molto scuro.
io: I see
lei: do you like my tattoo?
io: Uhm… I’m not able to judge from this far…
Ma quanto è duro il mio lavoro!
Frank Zappa suscita sempre un timore reverenziale, in parte giustificato dal suo essere un genio difficilmente definibile.
Capace come compositore di arrangiare Mozart in chiave rock, come chitarrista di esplorare i modi musicali più insoliti, come uomo intelligente e sboccato di scioccare e sconvolgere sempre, battendosi contro la censura e difendendo il diritto degli artisti di usare oscenità a loro piacimento e rompere ogni genere di tabù, fino ad annunciare la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.
Non è poi così strano che qualcuno abbia associato il mio siculo-americano preferito ad un altro “personaggio scomodo”, che non è un genio in sé ma rappresenta il frutto di tante menti ispirate: Linux.
Stamattina SKYTG24 mi ha salutato con la solita notizia di un attacco nelle acque di Gaza. Mentre sorbivo il mio caffè non ho avuto modo di capire bene, perché veniva dato ampio spazio all’esaltato esperto di turno, che parlava di operazione militare condotta in maniera tecnicamente ineccepibile e di un gran successo logistico con un attacco incrociato acqua-cielo.
Cioè… io invece lo dico in termini terra-terra: Qualcuno ha ammazzato Qualcuno presumibilmente disarmato, e a decine.
Il primo qualcuno era la marina militare dell’esercito israeliano, il secondo qualcuno, apprendo solo adesso, sarebbero pacifisti in una nave ONG, colpevoli di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato per difendere diritti umani, come quello di bere il mio caffè. Ora, indipendentemente da tutto, mi si viene a parlare freddamente di operazione ineccepibile… ma una coscienza?
Ieri, mentre dopo taaanto tempo facevo lavare la macchina, ho ri-incontrato un amico surfer, skater, kiter, biker, punker e tante altre cose che finiscono in “er”. Ai tempi dell’università a Catania era il classico amico che non ti puoi portare appresso perché tutte si innamorano subito di lui: artista, straight edge (ma solo nel senso di non-bevo-non-fumo), casinista e schifosamente divertente.
Ad ogni modo, mentre la lavaggista rumena seminuda faceva le sue contorsioni nella mia auto, le solite cose. Ci siamo scambiati un paio di informazioni di circostanza, abbiamo confrontato i rispettivi accenni di pancia, sporgendola in fuori ed esagerando le conseguenze di una vita un po’ sedentaria, abbiamo discusso di che sport si potrebbe fare – scartando accuratamente tra i più pericolosi – per scongiurare la suddetta sedentarietà, lui e la sua donna mi ospitano volentieri a mare questa estate… ecc ecc. E poi mi ha detto…
Questa merita tutta l’attenzione possibile: Glaxo, seconda azienda farmaceutica al mondo, rilascia al pubblico dominio i dettagli della composizione di migliaia di farmaci per la cura della malaria. Una mossa che Wall Street ha definito “approccio Linux”: cosa significherebbe per la ricerca farmaceutica se questo non restasse solo un atto isolato?
Non sono uno di quelli che ai party si presenta con il LiveCD di Ubuntu, ma ho spesso portato discussioni sulla Sanità al tema della chiusura di informazioni critiche. Una cosa su cui dottori e pazienti sono sempre stati entrambi d’accordo, e se non è già questo è un piccolo miracolo…
Molto spesso noi pinguini indugiamo per diletto su questioni divertenti e leggermente infiammatorie tipo la migliore distribuzione o cose del genere, ma tutto ciò non deve mai farci dimenticare quali sono e potrebbero essere le reali conseguenze sulla società di un modo di pensare “open source” e di un “approccio Linux”. Sviluppo collaborativo, strategie aperte, ricerca pura, strumenti condivisi… e magari che ne so, ogni tanto qualche flame “Aspirina vs Vivin C” ;)
“No al bavaglio” è lo slogan che in questi giorni e in queste ore sento e leggo più spesso… e non senza fastidio, purtroppo. Immagino succeda anche a voi.
È gravissimo che io stesso senta fastidio per quello che sto per scrivere: significa che siamo tutti fottuti, perché mi ritengo un essere pensante e so che le idee che supporto mi dovrebbero far stare meglio e più in pace con me stesso. Invece mi sento di fare uno sforzo enorme ad affrontare la questione. Di più: mi sembra di percepire anche il vostro fastidio. Deve avere qualcosa a che fare con il fatto che siamo noi tutti già vittime di questo bavaglio, in senso esteso. Queste parole di Silvia Resta (La7) a Maria Luisa Busi (ex TG1), sui bavagli imposti ai telegiornali, esprimono quel che intendo. Atrocemente:
“[…] Non si racconta più il paese vero, quello della crisi che morde, quello dei pendolari che perdono ore sui treni ammassati come acciughe, quello delle scuole a pezzi, quello che frana. Non si raccontano le truffe e gli abusivismi, non si raccontano le facce della corruzione, la mafia, le mafie; le grandi inchieste sul Palazzo che in un paese “normale” avrebbero tenuto occupati per mesi cronisti e reporter […]”
Forse so dare un nome a quel fastidio: è la nostra impotenza.