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Appimage, figlio di Appdir, della tribù di ROX, AppBundle e Klik (par)

Gran parte delle infinite discussioni sulla gestione dei pacchetti si esaurisce nelle sterili guerre di religione tra i diversi sistemi antagonisti, ma le poche volte che si cerca di affrontare il discorso in maniera un po’ radicale viene fuori il dolorosissimo: “è perfetta così com’è“: negazione dell’intelletto umano e delle teorie evoluzionistiche tutte.
Per fortuna, anche dopo più di un decennio di utilizzo di “repository”, io non sono mai stato completamente assimilato e sono uno dei non molti veterani che riescono a porsi domande dalla prospettiva di un utente normale. Probabilmente perché tengo sempre presente che il funzionamento di Debian non è legato a leggi di natura e che invece dipende da scelte di design esposte alla fallacia umana e dunque perfettibili.
Come dicevo anche in “MacOSX visto da un pinguino curioso” e, la gestione tramite repository è comodissima per il software di sistema, dove mi auguro che resti sempre, ma mostra decisamente il fianco scoperto quando si tratta di applicazioni di terze parti. Appimage è – in ordine cronologico – l’ultima delle possibili soluzioni a questo problema.

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