Il 14 dicembre 2010 sarà ricordato per tanti aspetti controversi della vita italiana e internazionale.
Dall’estero aspettavamo il responso sul caso Assange, libero su cauzione dall’accusa di aver fatto sesso non protetto con partner che poi lo hanno denunciato, fieramente ricercato per aver ridicolizzato la diplomazia internazionale con l’ormai famoso Wikileaks. Su questo argomento magari scriverò qualcosa un’altra volta, adesso mi preme altro.
In Italia era infatti il gran giorno delle possibilità (poche) e delle speranze (molte) di una sfiducia al governo. Però si è trasformato in tante altre cose: è stato il trionfo di quel gioco stanco e sporco chiamato politica italiana, tra astensioni mirate e inciuci vari; è stato un giorno di grandi manifestazioni pacifiche di gente che ha esercitato la propria libertà di espressione; è stato infine un giorno di violenze e azioni fosche, talvolta apparentemente inspiegabili, che hanno lasciato parecchi interrogativi e nessuna risposta.
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L’attenzione generale del pubblico e perfino della stampa estera è sempre più colpevolmente sviata verso questioni leggere, tipo il riciclaggio di battute sporche del vostro primo ministro sui desaparecidos (maliziosi, avete interpretato male voi); la simpaticamente catastrofica e strumentalizzata inadeguatezza della non-destra italiana; la divertente iniziativa cameratesca e conviviale di squadris ronde di schedati giustizieri della notte (finalmente capisco a cosa ci preparavano i Bellissimi di Rete4); la totalmente inaspettata conseguenza del Lodo Alfano per cui l’avvocato Mills è un condannato, il suo mandante no… Cose del genere insomma.
Nel frattempo però passa inosservata la vera questione importante: «Arisa ci è o ci fa»?